Testo di Matteo Galbiati della raccolta di incisioni di grande formato AR Officina 2008-2011

In Forma lirica 2008-2011

di Matteo Galbiati

Sono ormai due anni che, chiamato per dare il mio contributo critico, seguo con vivo interesse l’evoluzione e l’avanzamento continui del progetto In Forma Lirica che, promosso e sostenuto da un gruppo coeso di undici artisti, trova proprio nel principio di collaborazione, confronto e scambio tra chi vi partecipa il saldo fondamento della sua continuità. Questa esperienza descrive una condizione di triplice peculiarità: in primo luogo perché oggi, in un sistema dell’arte legato alle mode, schiavo del mercato, vittima di gusti passeggeri e incomprensibili, viziato dalle mire avide di critici attenti più all’arricchimento del proprio portafogli che non all’etica del loro lavoro, si è persa di vista la capacità di discernimento tra lavori furbi e ammiccanti e altri che, invece, insistono su una visione lirica e poetica dell’arte. Da questa parte troviamo quegli artisti che, responsabilizzati proprio dal credo della loro poetica, vogliono ancora poter affermare che si debba in primo luogo, attraverso la sensibilità delle opera, restituire in chi le osserva un’emozione. Questo gruppo di artisti da anni, e con fatica ma senza scoraggiarsi, cerca di portare all’attenzione del pubblico, lavorando anche in contesti diversi dai soliti ed algidi ambienti delle gallerie, una visione altra della contemporaneità mirata – è una scelta sentita e condivisa da tutti – al recupero di un sentire lirico che spesso è dimenticato – se non completamente assente per manifesta incapacità – in buona parte degli artisti contemporanei e, purtroppo, in moltissimi giovani.

Un secondo motivo di valore del progetto, orgoglio per chi segue l’aspetto critico, è trovare finalmente la possibilità di un avvincente dialogo a più voci in un gruppo di artisti che della reciprocità, pur nel rispetto comune delle single individualità espressive ed artistiche, ha fatto la sua conditio sine qua non. Una vera rarità nel mondo egocentrico, egoriferito, iper competitivo dell’arte attuale. Porsi in una condizione di scambio e confronto non solo apre la strada a nuove prospettive, spunti, suggestioni e possibilità, ma arricchisce anche il proprio fare: la capacità di osservazione criticamente costruttiva, di introspezione del proprio e dell’altrui agire, lo sguardo sempre aperto su quello che accade anche altrove, dovrebbero essere condizioni imprescindibili per ogni artista che voglia nutrire di nuova linfa ciò che va facendo. Chiudersi nel silenzioso, circospetto e malfidente, operare individuale diventa un limite alla possibilità che una ricerca possa darsi e farsi compiutamente nel e al mondo.

Il terzo aspetto particolare è l’aver saputo portare avanti con caparbietà il lavoro iniziato, senza scoraggiamenti rispetto alle difficoltà incontrate nel tempo e senza incertezze sull’impegno preso. Molto spesso si assiste a progetti e programmi artistici che, nonostante i buoni propositi, gli ottimi contenuti, una volta iniziati non hanno trovato poi continuità e seguito, arenati nelle secche ostili delle sfavorevoli congiunture, che diventano poi l’alibi per rinunciare a tutto. In Forma Lirica ha concluso ogni fase iniziata e, trovando e rigenerando sempre energie e forze, stimoli e spunti, si è sempre avviato verso una nuova senza spegnerne anzitempo il proprio percorso.Questa visione in prospettiva mi porta oggi a guardare alla felice riuscita del lavoro sulla nuova serie di grandi incisioni.

L’incisione è stata, fin da quelle più piccole realizzate in precedenza e di cui ho già scritto, il terreno comune di confronto per ciascuno degli artisti che, nel lavoro sulle lastre e sulla carta, hanno aperto un processo paritario di operatività. Il mezzo e la tecnica sono diventati l’incipit di un’opera che, nelle specifiche sensibilità, si è articolata poi, nella fase realizzativa, in una sequenza di undici suggestive proposte che identificano caratteri e temperamenti, suggestioni e visioni che si sommano nella totalità. Queste undici carte non sono frammenti ricuciti di esperienze diverse, ma si compongono, e il grande formato sollecita l’apparentamento sensibile del tutto, in un racconto unico. La cartella d’incisioni diventa quindi un libro che si sfoglia: undici pagine di un racconto etereo e poetico, materico e leggero, colorato e monocromo che traccia, in undici capitoli, la vicenda recente di questa poetica esperienza. Sempre In Forma Lirica.

Mi hanno stupito nuovamente questi lavori che con una tecnica, quale l’incisione oggi dismessa e poco frequentata per il gravoso impegno e l’attenta perizia che richiede, mostrano il loro sentire, in dialogo reciproco, con una sottolineatura forse maggiore delle loro opere canoniche, composte secondo i rispettivi linguaggi e tecniche. Che siano pittori o scultori, da queste opere emerge quella convergente visione, quel condiviso interesse che è il nervo pulsante di ogni loro proposta.

La nuova cartella di incisioni non manca quindi di sottolineare l’unità di intenti e di orientamento che sempre confluisce sul senso dell’etica e dell’estetica che il ruolo dell’artista e della sua arte ha per loro, e sul significato che ha – o dovrebbe avere – oggi. Un suggerimento che la poesia di queste opere rende indelebile, segno di una necessità che l’arte, nel sistema contemporaneo, dove tornare recuperare, dando spazio, voce e contenuto al ricco bagaglio dei suoi valori – non meramente economici – e spesso, ingiustamente, dimenticati.

Valerio Anceschi
Valerio Anceschi è uno scultore che da anni lavora il ferro piegandolo a comporre forme aperte, libere e mobili nello spazio. La flessuosità e la possibilità di movimento alleggeriscono il peso della scultura fino quasi a contraddirne il canone primo di monumentale staticità e che, nell’esito finale dell’opera realizzata, sembra occultare completamente la fatica e il duro lavoro che l’ha, invece, generata. L’interesse di Anceschi per questa apertura aerea della scultura è sapientemente trascritta nella sua incisione in cui il modulo colorato di due sue piccole sculture, si agita e anima sul foglio pulsando di movimenti che catturano, del dislocarsi empiricamente della loro fisicità nel campo del foglio, ogni volta un segno e un gesto diversi. Ogni carta si presenta per la singola individualità come l’orma di un movimento, impressa da quell’unicità spazio-temporale indotta dalla vibrazione vitale della scultura.

Roberto Casiraghi
Due anime interagiscono nel segno pittorico di Roberto Casiraghi, due valorizzazioni del suo linguaggio che si compensano su opposti fronti tessendosi una nell’altra. Una tende all’emersione di un segno atmosferico e disperdente, leggero ed evasivo; l’altra svolge la manifestazione segnica con una marcatura più netta e calcata. L’evidenza diventa quella di una scrittura umorale – nella risoluzione formale non manca di mettere comunque in luce la grande perizia dell’artista che tradisce una lunga e matura esperienza nella pratica incisoria –  timbrica e potente che, nonostante la presenza di due direttrici differenti, trae la suggestione dal profilarsi come un’incessante sequenza di paesaggi dell’anima. In questa visibilità possibile si incide e si accende la forza conturbante della coralità poetica del segno di Casiraghi. Il suo gesto compone partiture fatte di condensazioni e di loro immediate sparizioni (o emersioni?) nell’evanescenza che aggregano e disgregano, in un ciclo continuo, ogni elemento del visibile ed ogni emozione dello spirito.

Misia De Angelis
Misia De Angelis mantiene sempre, anche nelle opere di più grande formato – come in questa incisione – quella caratteristica sensibilità che la spinge a guardare all’infinitamente piccolo. Il suo occhio attento pare entrare nell’aspetto nascosto del colore e va nelle sue profondità inesplorate, fino ad arrivare a sondare il sommerso del non-visibile. L’analiticità di questo sguardo le permette di esprimere, nell’indicibile della pittura, il senso della vita: riscopre il fervore primigenio e generante di forme organulari ed elementi quasi biologici – come cellule – che restituiscono un dinamismo vitalizzante al colore monocromo. Le aggregazioni cromatiche diventano quasi isole generative che animano l’intera superficie predisponendola e preparandola ad un cambiamento di stato: il suo spazio pittorico si sviluppa quindi e si anima nella tensione alla trasformazione, sfidando il divenire misterioso del proprio rivelarsi.

Alessandro Fieschi
Il nuovo risultato ottenuto in questa incisione da Alessandro Fieschi lega strettamente quest’opera ai risultati pittorici della sua ricerca: troviamo gli stessi colori, gli stessi segni, le stesse strutture. Le forme identitarie del suo linguaggio producono, nella suggestione della carta incisa, un coinvolgimento maggiore: in un tessuto coerentemente coeso si legano tutti gli elementi che si sviluppano tra trame colorate e gestualità segniche, tanto scritte dall’emozione dell’artista, quanto imposte da forme precostituite.

L’inflessione rimane quella di un’impressione narrativa del visibile che nella dislocazione delle componenti differenti marca il copione di vicende percorribili e aggreganti ma tutte da ricostruire con la propria esperienza. Segni-reperti di una tradizione che trova nella conoscenza e nella storia il suo punto di riferimento. L’importanza della tonalità del colore è un aspetto significativo: tesa su sfumature evocative della terra, delle pigmentazioni naturali, conferisce concretezza e realtà a ciascuno dei suoi brani poetici che riassumono sempre un’astrazione coinvolgente e praticabile nella visione di ciascun osservatore.

Ayako Nakamiya
Suggestiona incredibilmente l’azione del colore di Ayako Nakamiya che, abituata a domare l’acquarello e a scolpire l’olio, propone per questa carta una grande e voluttuosa massa di azzurro. Una vera e propria pioggia di colore, una nuvola, una sostanza fluida che si disperde nello spazio e nell’ambiente e, come un mantello, ammanta la vista accalorandola del suo inebriante canto. Le sfumature sono i versi di una poesia – che pure lei compone – liricamente trasportati e dispersi nella voce dal vento. Ogni minima variazione tonale diventa puntuale eco della sensibile capacità di Nakamiya di guardare alla propria introspezione che non si traduce mai in un monocromatismo asettico e di indecifrabile chiusura, ma si accende di quell’inconfondibile carica umorale che apre ad un inevitabile coinvolgimento e partecipazione.

Pietro Pasquali
La pittura di Pietro Pasquali si verifica attraverso una monocromia cangiante e fluttuante che vibra da un colore all’altro creando un’iridescente mutazione, di cui rimane impercettibile il segno evidente del suo mutare. A scandire questi suoi cambiamenti l’artista accosta tale riusultato del colore a forme geometriche regolari e modulari che, sovrapposte e avvicinate, creano opere che paiono in continuo divenire. L’incisione di grande dimensione sottolinea proprio l’aspetto apparentemente incompiuto ed impreciso del suo dipingere che ne è, però, la causa scatenante: la composizione geometrica con un colore magistralmente vivo porta alla verifica e alla conseguente comprensione di una visione pittorica che cerca, come presenze fondamentali, i segni delle apparenti imprecisioni accidentali. Le colature, le velature, le puntinature e le macchie, gli slittamenti e le scompaginazioni, si presentano in realtà sulla carta, quanto sulle tele e sulle tavole, come affermazione di un controllo preciso che ammette l’incidenza del caso nell’azione della ragione quale istanza fondamentale della vita, di cui queste monocromie vogliono essere trascrizione assoluta.

Rossella Rapetti
Concentrata sempre sull’uso di sfumature minime e ricorrenti nella tonalità, le opere di Rossella Rapetti vivono un rapporto di stretta simbiosi e interdipendenza l’una dall’altra: il modulo ripetuto, l’identità cromatica, la presenza di forme e strutture simili, sono alcune delle manifestazioni più evidenti che sottolineano il legame che ogni elemento ha con l’altro. Rapetti crea un dialogo, un’intonazione accordata tra ciascuna sua opera e tesse, in questo modo, lo svolgersi delle loro vicende ed istanze. Scrive, dipingendo, la trama di un racconto che procede con leggerezza e soavità, profondità ed incanto. Un ricerca la sua che si fa storia per immagini, un sogno espresso nella sequenza dei suoi istanti che, tradotti in una pittura liricamente astratta, riesce ad essere universalmente valido e condivisibile, cullato nell’intima individualità di ciascuno. Anche questo lavoro calcografico mette a nudo questo atteggiamento pittorico di delicata attenzione e gestualità, dimostrazione inequivocabile di una grande sensibilità, acuta e visionaria, che contraddistingue la ricerca e il carattere di questa artista. Un incisione che riconsegna la matrice più pura di una sottile poesia. Una poesia che, sfiorando gli occhi, abbraccia l’anima.

Tetsuro Shimizu
L’impronta pittorica di Tetsuro Shimizu si contraddistingue per la forte energia espressa dal colore che, addensato in un tumultuoso impasto, si sedimenta sotto le sferzate delle sue pennellate. La sua pittura però non diventa mai espressionismo violento e acceso, trasmette invece la potenza generante della pittura nel senso analitico dell’indagine emotiva sul colore. Si deposita e si sovrascrive in infiniti e numerosi passaggi, presenze del vissuto di ciascuna circostanza in cui si sono verificate, diventando una vera e propria scrittura cromatica dell’emozione, un tracciato del trascorso sentimentale dell’artista.
Nell’incisione il rosso diventa la forza accecante e conturbante che circonda lo sguardo imprigionandolo nel suo vorticoso turbinio di simbologie ad esso associate. Anche in questo caso, come avviene per le tele nella sua pittura, la carica propulsiva del colore arriva a scardinare e lacerare, deformare e spezzare la superficie del campo pittorico, producendo forme geometriche non lineari e definite. Il limite stesso del tracciato cromatico risente della forza di Shimuizu e le tessiture cromatiche in esso racchiuse non trattengono il peso e il senso del colore arrivando a chiarire manifestamente l’importanza delle tensioni strutturali interne ed esterne dell’opera.

Valdi Spagnulo
Rimane sempre difficile pensare che uno scultore, per di più impegnato in un lavoro con una materia forte e aspra come il metallo, riesca ad essere leggero e poetico nella manifestazione reale delle sue opere. Valdi Spagnolo, invece, da sempre lavora con la scultura come se stesse scrivendo segni grafici nello spazio e il risultato del suo faticoso impegno sulla materia si espleta in aeree strutture-scritture che si emancipano dalla pesantezza concreta dei materiali e sfiorano la dissolvenza nell’ambiente. Quest’ultima opera su carta riassume efficacemente il carattere della sua ricerca di scultore e, nonostante la limitante bidimensionalità imposta dal supporto, il risultato conduce ad esiti inaspettatamente scultorei. Una forma, ondeggiante ed oscillante tipica di questo suo linguaggio, si fa segno proteso nello spazio, staccato dal doppio della sua ombra relegata, appesantita e buia, sullo sfondo: questo dialogo a due apre ad una percepita tridimensionalità che eleva ancor più la forma scultorea a farsi evanescente e dissolvente presenza aggettante in equilibrio, instabile e mutevole, nel concreto del reale. Una visione che accompagna ad una rielaborazione e rimessa in discussione della fisicità del visibile.

Matteo Galbiati

Aprile 2011