Testo per il catalogo della mostra Lirica-mente, a cura di Matteo Galbiati e Fabio Vicamini, Hotel Golden Mile, lo spazio Lops Gallery e la “casa domotica” a Trezzano sul Naviglio (MI), dal 16 aprile al 30 agosto 2010.

Liria-mente

Matteo Galbiati

Capita frequentemente di domandarsi quale sia la ragione che – è un pensiero che accomuna tanto gli appassionati d’arte quanto gli addetti ai lavori e chi vive nell’ambiente artistico – ha portato alla presentazione di una mostra: quali siano le scelte operate per riunire le opere di un solo artista, o di un gruppo, quale scopo sottintenda un certo tipo di preferenze e valutazioni, perché taluni nomi vengano privilegiati a certi altri.

Se in molti casi resta pur vero che le motivazioni siano semplicemente empiriche e soddisfacenti occasioni pretestuose, nella maggioranza delle altre a prevalere sono le esigenze filologico-storiche, dettate da motivi di lettura o revisione analitica e critica di movimenti, correnti, linguaggi, pensieri e poetiche. Queste valutazioni sono pertinenti e proprie di ambiti – in certa misura – estranei, o meglio esterni, agli artisti e al loro fare. Qualcun altro, in certa maniera e più o meno coerentemente e congruamente, s’interpone quasi a volersi fare mediatore tra questi, le loro opere e il pubblico che le osserva: così il critico- curatore si fa interprete, è il rivelatore, o semplicemente l’indagatore, di contenuti e significazioni. La percezione dell’opera si svela agli occhi della sensibilità di quella critica che ne sa riscontrare il senso – forte di una giusta capacità interpretativa – e in ciò trova una legittimazione per essere comunicata ad un pubblico ampio per il quale viene resa accessibile. Per questo scopo culturale e intellettuale – non ci si cura dei pretesti modaioli ovviamente – si aprono e si allestiscono le mostre.

Queste si generano in luoghi altri rispetto gli studi e si consegnano agli occhi del pubblico quasi a posteriori, a cose già fatte, o meglio a opere già compiute: è doveroso evidenziare invece che questa mostra non è frutto del desiderio o dell’interpretazione né di un critico, né di un direttore di galleria o museo e nemmeno di un curatore di un qualsiasi spazio espositivo – che l’hanno al contrario accettata, sostenuta e promossa proprio per la sua peculiarità – ma nasce nel suo contenuto più profondo da un lungo percorso che gli artisti Roberto Casiraghi, Misia De Angelis, Alessandro Fieschi, Ayako Nakamiya, Pietro Pasquali, Rossella Rapetti, Tetsuro Shimizu e Valdi Spagnulo hanno scelto di compiere insieme e che da due anni ormai condividono e seguono con alcuni altri non presenti in questa circostanza.

Pur sempre rispettando l’individualità della ricerca, senza soverchiare o condizionare i traguardi che ciascuno ha autonomamente raggiunto negli anni, hanno fatto gruppo e si sono ritrovati ad esporre in una serie di mostre – di cui questa è l’ennesimo capitolo con nuove ed inedite opere – in cui hanno potuto, e voluto, confrontarsi sull’anima della loro ricerca. Le occasioni espositive, sono per tutti questi artisti una sorta di rito di passaggio, di tappa per una transizione del proprio vedere che, nella reciprocità differente delle loro osservazioni e analisi, attraverso la voce della loro arte, ha saputo cogliere i tratti comuni di ognuno per riconoscerli e riscontrarli in quelli di ciascuno degli altri. Stare insieme diventa momento felice di condivisione e maturazione di un percorso in cui le affinità maturano la prosecuzione di analisi e spunti che suggellano, nelle opere, l’universo immaginifico del loro pensiero. L’arte qui parla secondo un coro di voci diverse, autonome nella personalità della visione, ma sempre intonate e modulate su quella leggera e attraente delicatezza, pronunciata tanto nel colore pittorico quanto nella materia scultorea.

Tutti questi artisti, legati da una reciproca conoscenza e ammirazione, da una stima e amicizia profonda – che in alcuni casi risale addirittura agli anni trascorsi sui banchi dell’Accademia di Belle Arti – spesso, nel corso degli anni, e come si potrà poi notare dai loro curricula riportati a seguire, si sono ritrovati ad esporre e a partecipare a mostre che vedevano la comune adesione in contesti condivisi. Questa vicinanza è, a poco a poco, cresciuta fino a sfociare nell’idea di riunirsi per seguire un percorso coerentemente strutturato, in cui lo scambio e la frequenza della presenza non fossero più dettate dalla sporadicità, ma dalla continuità. Esulando da insensati e insani arrivismi e ingiustificate rivalità che mirano unicamente ad un successo aleatorio, dimostrando una stima reciproca alquanto rara nel contesto artistico di oggi, hanno voluto fare gruppo, senza dover essere però una corrente e senza vincolarsi ad un manifesto o a delle regole imposte, ma restando unicamente fedeli alla loro anima artistica. Hanno concepito il loro stare insieme sulla base di un sentire affine che affiora distintivo nella soave leggerezza di una liricità legata al proprio agire. Il lirismo del loro linguaggio diventa il legante reciproco.

L’attributo lirico evoca immediatamente quella particolare forma di poesia che, nell’età classica, prevedeva l’accompagnamento e l’intonazione ad una musica (generalmente della lira, strumento da cui trae origine l’attribuzione): la poesia lirica era quindi una declamazione in versi che, oltre a rendere arte il linguaggio, scelto e curato nella forma, nella combinazione equilibrata e misurata delle parole, veniva recitata e interpretata cercando nella musicalità del suono – quasi si cantava – il sostegno di una melodia ulteriore che fondeva, in un tutt’uno armonioso, musica e poema. Il carattere estetico prioritario di questa forma artistica era ed è – nelle pur differenti evoluzioni letterarie e stilistiche avvicendatesi nel corso dei secoli – la ricchezza e la varietà d’ispirazione e la profondità e la soavità dei sentimenti puri che l’ispirano fuse e sottolineate dall’accordo musicale.

La purezza delle forme e una delicata sintonia musicale affiora inequivocabilmente anche dall’astrazione di ciascuna opera in mostra: oltre il principio della rappresentazione formale qui l’intuizione guida la ricerca di un equilibrio naturale interno alle cose. Gli sguardi si orientano su sostanze che paiono trarre ed estrapolare dall’indistinto le particelle primarie della vita – ricreata o recuperata – per ricucire con il segno il carattere e la tensione al divenire. Le ricerche di tutti questi artisti non rinunciano mai all’individualità dell’interpretazione e dell’attitudine, all’intimità della visione, che restano caratteristiche personali, ma tutte sono accostabili ad un interesse, un orientamento, vera e propria vocazione partecipata da tutti: l’adesione di senso riscontrabile nei diversi lavori è l’accurata e sensibile indagine sulle forze nascoste delle cose. Ognuno, a suo modo, guarda al mistero dell’invisibile, a quella dinamica cosmica occulta che si fa base del processo vitale del tutto.

Con l’intuizione evocativa del colore e con la robusta schiettezza della materia le opere mostrano questa atavica e misteriosa enfasi sottesa al processo dell’essere- esistere: in una certa lieve, quasi impalpabile, indeterminatezza avviene la manifestazione di segni persistenti e ostinati che cercano un’affermazione più urgente rispetto al cosmo da cui si generano. La gestualità si addensa in una mimica che si fa forza incisiva e decisiva, consonante all’anelito incontenibile della vita. Come se rintracciassero nel microcosmo le strutture originali e archetipali, gli artisti poi organizzano e strutturano quasi le particelle minime di una visione addentro al microcosmo indecifrabile dell’esistere, matrice affiorante dell’indicibile della natura. Organizzano l’imponderabile per darne, nella poesia della loro arte, un afflato di comprensione, per rendere manifestazione reale e percettibile l’arcano sconosciuto. Viene resa possibile con la carica simbolica di un linguaggio schietto e semplice, la visione di pensieri altrimenti insondabili e trascurabili dalla comune attenzione. L’arte in loro si organizza quale sistema di conoscenza efficace e immediata, istintivamente legata al processo lirico della visione empatica; come la musica

  da qui il legame stretto con questa – si fa universalmente percepibile, svincolandosi da limitazioni culturali, linguistiche o esperienziali, così queste opere cercano un’universalità di senso che cerca di allargare il suo messaggio al coinvolgimento istintivo di un pubblico ampio.

Se i pronunciamenti appaiono quasi fuggevoli, appena accennati secondo una velocità e un’agilità esecutive sbrigative e precipitose – ma solo esteriormente – il rovente desiderio di strutturare nel corpo reale dell’opera l’apprensione delle riflessioni ispira quella tensione dialogica con chi osserva. L’irresistibile fascino cui si cede, sotteso al suggerimento di visioni cariche di significati, avviene proprio con quella innocente semplicità lontana da sofisticate artefazioni e iperboli della mente. Semplicità che enuclea una forza e un vigore incontenibili, che non si trattengono mai dal pronunciare la loro verità.

Il titolo Lirica-mente non si configura quindi come una scelta dettata da un mero vizio convenzionale che, nell’avverbio di modo, vuole riassumere le qualità di esercizi formali, ma individua le priorità di uno stato mentale, evidenziando le attitudini proprie di un sistema espressivo che ricalca il senso delle scelte e delle vocazioni dei linguaggi artistici che accomunano e avvicinano questi otto autori. Riassume all’estremo il senso della visione delle opere e del percorso di ricerca da loro perseguito.

Esse lirici è innanzitutto un concetto della mente che focalizza e mette a nudo, nella tela e nelle sculture, il verificarsi delle intuizioni. Intuizioni, rese concrete, di un mondo invisibile e poetico, repertoriato da forme e figure immaginifiche il cui dialogo è costantemente rinnovato e rinnovabile nella visione che, come la musica, vuole farsi codice di un linguaggio universale il cui fascino, nelle infinite modulazioni, resta ogni volta, sempre e ancora, tutto da scoprire.