Testo critico di Matteo Galbiati per il catalogo Nuovi Lirici, Galleria Antonio Battaglia, Milano, dal 30 novembre 2022 al 29 gennaio 2023

Nuovi Lirici. Dialoghi ed estetiche di prossimità

di Matteo Galbiati

Perchè
Oggi fare gruppo si dice essere, per il mondo dell’arte, una condizione complessa, spesso dettata dal mero interesse, sempre meno per un’etica condivisione della propria missione estetica, artistica, filosofica, sentita accostabile a quella di altri e mezzo per stabilire un comune percorso di visioni e scambi. Insomma secondo il diffuso pragmatismo attuale le ragioni di opportunità, il più delle volte, prevalgono sulle più buone intenzioni.
Condividere è termine imbrigliato nella comunicazione/relazione da social che, per quanto comoda e utile, non fa altro che acuire il distanziamento tra le persone per la sua impostazione da consumazione svelta, vissuta come “evento” transitorio e non già come valore fondante, perché è posta su un’osservazione distante che raramente si traduce in vera vicinanza. Perché fare gruppo oggi? Perché è misura di uno “stare bene” nel ritrovarsi in dialogo e in sintonia con l’altro; con chi è stato compagno di esperienze, di viaggi; con chi si è ammirato nel momento del successo con la sincerità della considerazione e non con la deplorevole piaggeria che maschera un’invidia ancora più esecrabile; con chi ha un approccio consimile nella visione profonda del mondo attraverso l’arte. Fare gruppo è, per questi artisti che compongono il gruppo dei Nuovi Lirici, la necessità di mantenere viva una storia che abita sia il versante della professionalità artistica e della relazionabilità senza gelosie della propria ricerca e del proprio lavoro con quelli degli altri, sia il fronte nobilissimo di una personale e fondamentale amicizia, stima e affetto sinceri che rendono vitale l’esperienza dell’arte rigenerandola di quella umanità che attualmente è troppo spesso trascurata.
Chi
Valerio Anceschi, Roberto Casiraghi, Misia De Angelis, Alessandro Fieschi, Ayako Nakamiya, Pietro Pasquali, Rossella Rapetti, Tetsuro Shimizu e Valdi Spagnulo dal 2008 – ma alcuni di loro sono già stati attivi in progettualità comuni dagli anni Novanta quando si conobbero presso l’Accademia di Brera frequentando i corsi dei loro maestri Gottardo Ortelli e Paolo Minoli ed esponendo poi nel ciclo di mostre Nuovi temperamenti dell’arte con la voce critica di Claudio Cerritelli – hanno voluto riorganizzarsi in modo sistematico come gruppo coeso, accogliendo altre voci “vicine” e perseguendo una scelta controcorrente che, lasciando sempre libertà al singolo di seguire il proprio percorso, in parallelo ha stabilito nell’azione collettiva il modo per sostenersi vicendevolmente. Lo sforzo di uno è lo sforzo dell’altro per cercare gli estremi di una pittura e di una scultura la cui espressività si fonda sul principio di una leggerezza poetica che, per una volontà, sottile e colma di sentimento, riconcilia con il suo dovere trasfigurante e narrativo nei confronti del vero e della realtà.
Tutti loro insieme esercitano una cultura delle immagini forte nell’osservare, come principio chiave, dentro di sé e amplificando poi il proprio sentire con la coralità di quello che acquisiscono con la connessione nella reciprocità. Un passaggio importante questo perché definisce il mezzo del loro operare per immagini.
Come
Le opere di ciascuno sentono le frequenze di quelle degli altri e riorganizzano la propria intonazione per accordarsi con la musicalità intrinseca delle altre: il risultato finale di ogni mostra collettiva, proprio per le specifiche conoscenze, raggiunge un equilibrio dettato dalla comune visione finale e rende l’operato complessivo, quello del gruppo, come esito di una nuova identità. Il gruppo diventa l’artista aggiuntivo, è l’anima ritrovata, è il referente con cui si aprono prospettive diverse. È qualcosa di ulteriore che mai sovrasta o riduce, ma sempre promuove e identifica. In questo modo Valerio Anceschi può far danzare leggeri i suoi disegni scultorei che si disseminano in movimenti liberi e aperti allo spazio e, tra pieni e vuoti, concepire la possibilità di nuove ambientazioni. In modo analogo, tra trasparenze e vigorosità, Alessandro Fieschi sedimenta il gesto pittorico ricucendo gli estremi dei suoi diversi gradienti segnici, trovati in temporalità sempre lontane e diverse, in un nuovo universo rappresentativo. Presenze ricorrenti che non scompaiono, ma si pongono in una migrazione attiva sulla superficie e sulla profondità delle sue opere.
Vivace è il tratto pittorico di Tetsuro Shimizu le cui tele si aprono a forme inconsuete che provano come la pittura sia un fenomeno vivo e sempre in divenire, mai pago di consolidarsi in un’immagine stabile. Si segnano i telai, le tele hanno porzioni integre, eppure il colore vive di una indeterminante decodifica in cui ogni cromia non è mai ciò che appare al primo sguardo. Anche Ayako Nakamiya rende vigoroso il segno della pittura che vibra in colorazioni che, appartenenti allo stesso registro, occupano lo spazio con consistenze e gesti diversi. Sono una trama fitta e caleidoscopica che ha una consistenza ancora diversa quando passa dall’olio all’acquerello che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, vive di un vigore maggiore, di una consistenza che non tocca mai la friabilità della trasparenza. È una diversa soglia di accesso all’acquerello quella di Misia De Angelis le cui atmosfere si caricano di elementi corpuscolari che riempiono il segno cromatico: sono presenze affioranti, mobili, attive che portano l’immagine a stabilire, nel piccolo della dimensione, un frammento di un universo maggiore che trasfigura nel colore il micro e macro cosmo che ci sta attorno. La bellezza delle sue consistenze sta nel concedere risonanza all’invisibile. Una musicalità intrinseca la definisce Roberto Casiraghi la cui calligrafia pittorica somma gesti e segni decisi ad altri che tendono a sparire liquefacendo il colore dentro i contorni della propria ombra. La sua azione sonda i livelli diversi della percezione sensibile, stratificando e muovendo la mobilità del sentire, restituito in un nuovo apparire formale, perturbante e coinvolgente.
Dentro l’intimità silente del colore si muove anche Pietro Pasquali che dimostra di scalfire l’assoluto del monocromo attraverso una pittura fatta di appena percepibili variazioni che consentono allo sguardo di esplorare la superficie del dipinto con un’attenzione resa più sensibile proprio grazie a queste diverse intensità. Anche le irregolarità delle forme del telaio contribuiscono a rafforzare la necessità di spingere lo sguardo oltre l’apparenza rilevata dall’occhio. Rossella Rapetti pure agisce per levità: smarcandosi dalla pesantezza di un proprio segno identitario, cerca di conformare forme espanse, mobili in cui le tonalità rispondono a invisibili forze che regolano i passaggi di luce e ombra, caos e ordine, particolare e universale. L’armonia della pulsione vitale agisce sulla consistenza dell’acquarello e dell’olio fornendole la forza di lasciar espandere impulsi non contenibili. L’energia si manifesta anche nella scultura di Valdi Spagnulo in cui le forme leggere conservano, nella propria materia, i segni del tempo pregresso e quelli successivi della mano dell’artista: temporalità di agenti distanti allora si sedimentano e si accompagnano alimentando la testimonianza della loro presenza. L’artista coglie e segue un’intuizione che permette alla forma di ciascuna opera di rendersi viva e attiva non solo attraverso la sua fisicità, ma anche nella relazione profondamente cercata e voluta con l’intorno.
Quando
Queste ricerche individuali, che, come abbiamo detto sono correlabili attraverso spunti di scambio estetico-filosofici, cercano il dialogo tra loro e lo vivono come momento imprescindibile per dichiarare contenuti più forti nella dinamica della condivisa esperienza sensibile. L’aspetto importante è che questi artisti non hanno bisogno di avvertire questa volontà di “fare assieme” solo in momenti di necessità come la partecipazione e la presenza ad una mostra, ma sentono l’urgenza anche di intenzioni altre, nate proprio dal pensare al dialogo come bene fondante per le loro ricerche. In questo senso il loro quando principale è lo stare in studio assieme, è la partecipazione a progetti collettivi nati per una volontà “interna” che sa che c’è un senso diverso nella rispettiva aggregazione fuori dalla circostanza programmata. Ecco che l’incontro più produttivo avviene nell’occasione della preparazione di mostre, più che la mostra come risultato, quando i pensieri diversi di ciascuno confluiscono nella forte ispirazione di tutti che è, alla fine, il vero organismo a sé stante che sa dare, in definitiva, i migliori pronunciamenti. Anche progetti comuni come le cartelle di incisioni, i libri d’artista, etc…, sono situazioni cercate per lasciare una precisa testimonianza, di quel dovere di impegno e di critica che pone lo scambio e l’accettazione inclusiva come fattore fortificante e indispensabile. La prossimità del confronto e della frequentazione sono l’esercizio “semplice” della loro virtù principale, che è viva perché presente e indipendente dalle logiche attuali ed è affermazione di quel principio idealistico del primato di autonomia, determinazione e affermazione dell’artista sul sistema.
Dove
Sono diversi i luoghi in cui i Nuovi Lirici riescono a portare avanti la loro narrazione unitaria e non si scostano da quelli abituali e consoni al loro operare: sono gallerie, musei, spazi pubblici e privati che, però, vengono vissuti sempre in previsione del confrontarsi, prima ancora che con il pubblico, tra tutti i membri del gruppo. Il momento iniziale di ogni occasione scelta è l’istante privilegiato per innescare e attivare quei dialoghi e quelle estetiche di prossimità che fanno maturare, rafforzare e innervare l’intelligente consapevolezza della loro missione congiunta. È la coralità degli scambi che permette loro di trovare una strada comune che è il bene maggiore della volontà con cui rimangono uniti. Questo vale a prescindere da tutto e pone storia dentro la storia; passato, presente e futuro si uniscono nella prospettiva del fare assieme.
Oggi l’occasione del loro trovarsi è quella che, imprevista, arrivata senza programmazione calendarizzata, ma scossa da un’incidentale incontro degli esiti recenti delle ricerche dei Nuovi Lirici con il gallerista Antonio Battaglia, li vede protagonisti della prima mostra del gruppo in una galleria privata milanese. Anche in questo caso è storia che incontra storia: il gallerista, interessato proprio alla qualità della loro proposta e del loro progetto unitario, ha voluto celebrare i vent’anni dell’attività del suo spazio inserendo una mostra dedicata ai Nuovi Lirici, perché la modalità espressa dalla loro esperienza ricalca quanto fatto nei decenni con i propri progetti. Il valore della cooperazione e il sostegno a quelle realtà di confine sono il motore propulsivo dell’attività della galleria e così non si potevano non combinare e incontrare i due percorsi. Se alcuni di loro individualmente avevano già avuto modo di presentare qui la propria ricerca, ora il ventennale della galleria è la propizia coincidenza che celebra una selezione di loro opere e li inserisce in un quadro di accadimenti più ampi di cui loro, coralmente, possono dare un contributo appassionato e potente.
Anche se, vogliamo sottolinearlo, il coraggio maggiore del loro esserci e del loro perdurare è un altro dove: la vera sorgente primaria è in quella pura reciprocità di dialogo che, anche con scambi intensi e senza concessioni o sconti, produce la loro conoscenza profonda, tradotta poi nel bene comune del decimo artista, il gruppo stesso. Questa identità nasce e matura sempre lontano da quei riflettori che molti altri artisti vorrebbero avere sempre puntati addosso, negli studi, in quei luoghi primari del fare di ciascuno che si aprono sempre agli altri. Qui inizia davvero tutto, il resto è poi un’altra via per restituire quanto trovato a chi sa, può e vuole cogliere e condividere. Ancora.