Testo critico di Matteo Galbiati per il catalogo Nuovi Lirici, per la mostra al MuVi, Viadana (MN) dal 4 giugno al 10 luglio 2022. 

I Nuovi Lirici, una visione armonica

di Matteo Galbiati

Nell’ultimo decennio le esperienze del gruppo dei Nuovi Lirici (cui fanno parte gli artisti Valerio Anceschi, Roberto Casiraghi, Misia De Angelis, Alessandro Fieschi, Ayako Nakamiya, Pietro Pasquali, Rossella Rapetti, Tetsuro Shimizu e Valdi Spagnulo) non solo si sono consolidate, ma si sono intensificate portando il loro sodalizio ad esprimersi e a confrontarsi in numerose occasioni espositive a loro dedicate o a essere accolti e chiamati in progetti collettivi che hanno misurato e messo in dialogo la loro visione d’insieme con quella di altri autori.
Se può sembrare anacronistica l’idea di istituire e mantenere vivo un sodalizio in cui le individualità sono rispettate, il singolo pensiero e la particolare visione artistico-esteca vivono delle proprie differenze, altrettanto vero è che per loro in questo “ritrovarsi” esiste il senso più  profondo di un’armonia di intenti che non vuole considerarsi come frutto di un semplice dibattito, ma essere cuore e anima di un vero sistema di vasi comunicanti che permettono al lavoro di ciascuno di alimentarsi del dialogo rivolto a quello degli altri.
Non è anacronistico per loro sostenersi in un gruppo, anzi, è un’azione quasi rivoluzionaria rispetto all’egocentrismo che attanaglia la solitaria azione degli artisti di oggi: ripensare in termini di corrispondenza e relazione permette a ciascuno di uscire dall’“isolamento” dello studio, per ritrovare la possibilità, che con l’esperienza diventa pratica rafforzata, di mettere in discussione continuamente l’esigenza del proprio fare in un contesto paritario, non istituzionalizzato, fuori e lontano dalle costrette situazioni modaiole. Del resto la sintonia e l’accordo personale, il legame di amicizia, le esperienze vissute agiscono come legante ulteriore e fondante, utile a ritrovare nelle opere di ogni singolo artista le ragioni, le motivazioni, i sentimenti, le idee e le prospettive che sono loro sottintese, ma da tutti sentite, comprese e condivise. Dialogare, discutere, ritrovarsi, viversi al di là delle occasioni espositive è modo e prassi per incrementare proprio la conoscenza di opere e la coscienza di ricerche che vogliono specchiarsi reciprocamente, una nell’altra, quale atto nuovamente generativo, propulsivo di un fondamento aggiuntivo che aiuta a stabilire l’emergenza di un’identità ulteriore quale è quella collettiva.
Fin dai primi momenti in cui ho avuto modo di osservare da vicino il loro “linguaggio di gruppo”, ho sentito viva – ed è una sensazione che filtra nello sguardo di chi vuole osservare da vicino la continuità e la contiguità del loro fare – la coerenza nella diversità: questa è il fulcro portante di una sistematica volontà di identificare le proprie individualità e farle convergere in quella nuova del gruppo. Questa attitudine peculiare alimenta e stimola la connessione complessiva dell’interazione tra visioni che, nel piccolo scarto singolare, restano evidenza del soggetto particolare che le ha prodotte, tassello imprescindibile al quadro di insieme che si compone nell’identità collettiva. La pluralità di soggettività sfoglia pagine di un racconto – tra pittura e scultura – che non solo li fa avvicinare, ma concede all’uno di respirare la poesia dell’altro. Uno si integra nella passionalità dell’altro, avvicendandosi in una sequenza di partiture che lasciano danzare l’arte in una coreografia in cui l’immaginazione si anima e muove ispirata dal ritmo della musicalità dei loro linguaggi orchestrati così armonicamente.
La visione armonica d’insieme, dopotutto, è figlia di interessi sentiti e vissuti, frutto di modelli comuni che hanno sì prodotto percorsi ed identità differenti, ma che loro hanno sentito il dovere di far ritrovare anche in un itinerario comune. In questa naturale propensione la loro volontà collettiva è adeguata al nostro presente: la problematica sollevata dal loro linguaggio pittorico e scultoreo s’inserisce, infatti, in un momento storico in cui questa pratica dell’arte più tradizionale sembra risentire del “sistema dell’arte” che eleva a miti volgari saltimbanchi sostenuti da capitali in cerca di investimenti facili e sicuri (?), per quanto artefatti e spesso costruiti ad hoc. Certa figura dell’artista, oggi, fa ormai parte di un’immaginario percepito come desueto, superato, ancorato ad una “vecchia scuola”, eppure se si ascolta bene, la necessità della loro lezione, estetica, morale e spirituale resta assolutamente valida. Anzi è necessaria ed è modello conveniente. La possibilità di ritrovare la spontaneità di un afflato lirico nel sapere dell’artista riconcilia proprio con l’inconsistenza della cultura dell’immagine attuale: la fugacità, la consumazione repentina, la sollecitante invadenza del virtuale hanno come antidoto la vecchia ricetta della pittura e della scultura che non ammicca, non accontenta, non ammansisce, non distrae, ma obbliga a guardare oltre. A trasfigurare e a trascendere.
Il colore e la materia vengono affrontati con lucida determinazione che, per quanto l’immagine finale risulti sempre delicata, leggera, sedimentata e incisa di vissuto, è espressione di un’esperienza poetica non solo chiusa nella/dalla pratica dell’artista, ma offerta e rilanciata a quella di chi osserva. Le loro opere, all’unisono, permettono all’animo di trovare spiragli per identificare una corrispondenza con la realtà più profonda dello spirito; i loro lavori sono una trasfigurazione di quell’inesprimibile e inespresso potenziale aperto e libero che l’immaginazione sa produrre. L’opera, ancora una volta di più, è luogo e mezzo per ritrovarsi. Ecco perché, contrariamente all’indottrinamento offerto dalla maggior parte degli artisti contemporanei, loro non vogliono perdere il legame con un “antico” sistema valoriale che assegna all’opera stessa il primato della sua inequivocabile e inalienabile libertà.
Ogni loro lavoro cerca la risoluzione espressiva per farsi spazio aperto; è il sofferto e tribolato raggiungimento che ci impone di considerare l’opera d’arte come soglia, luogo di transito e di transizione tra la rassicurante esigenza del tempo presente e il mistero che abbraccia e accoglie l’universalità dell’intelletto umano. Loro, come singoli artisti, hanno sempre seguito questa missione, a maggior ragione l’esperienza del gruppo permette quell’allargamento d’orizzonte che diventa panoramico nella reciprocità dei paesaggi – dell’animo, non certo della figura naturale – individualmente colti e spalancati per la mente.
Abbiamo detto della partitura di un’orchestra, ebbene ciascuno produce il proprio spartito che, per strane e incomprensibili forze ed energie alchemiche, si ritrova in quella dell’altro. Ecco come è possibile che le rispettive immagini si possano specchiare vicendevolmente contribuendo a rafforzare la dinamica di una poesia che vive di leggerezza personale e di intensa coralità: colore, segni, materiali si intrecciano in una metrica che dà il ritmo definitivo.
Con questo processo di accostamento e sovrapposizione si verifica quel dato di conoscenza e di osservazione che riporta all’artista la sua sensibilità, la capacità di leggere non solo il proprio percorso, ma anche quello di chi sente essere un compagno di strada. Evitando l’attrito, accendendo il fuoco sacro della passione si ottiene una vicendevolezza che rende vivi il senso della grazia del segno, la soavità del cromatismo, la forza intima, la dolcezza dell’accoglienza, la permeabilità delle consistenze, l’atmosfera del disegno: le opere sono spazi di accertamento, ambienti di verifica mai chiusi o ultimativi, instabili nella loro solida bellezza che fluisce nelle differenti consapevolezze che vi partecipano.
L’idea del gruppo è di mantenere fede a quei principi ispiratori che hanno dato seguito con la loro vocazione artistica e che non vogliono si perdano nell’individualismo, ma che continuino a rimanere testimonianza attiva nel generarsi incessante attraverso quello sguardo che non appartiene unicamente loro da dentro, perché vive anche nella prossimità di chi sa lasciarsi attrarre dalle immagini che producono. Pittura e scultura in loro, superate le iniziali esperienze accademiche comuni, hanno vissuto la dinamica di un tempo lungo per cui ciascuna ricerca si è sviluppata ed è maturata fino a diventare convinta prosa artistica pronta a connettersi con la reciproca affinità di loro come sodalizio mai sciolto e mai ratificato in passaggi successivi, perché è sempre stato dentro al tempo del loro esercizio mentale, estetico, filosofico, umano.
Hanno portato, in questo modo, il gradiente attrattivo a recepire un carico sensibile, una vitalità ancora esprimibile; sono loro il fattore aggregante che contribuiscono a rafforzare e rinsaldare nel senso di uno stare assieme che ha come fine ultimo il “vedere” assieme.
La volontà dell’armonia è il bene maggiore che non sottrarre certo a confronti duri ed aspri, ma che trova sempre la ragionevolezza del bene maggiore che è la serietà della propria arte. La propria affinità di visione che si moltiplica e si fa sempre istanza accogliente: la loro è una ricerca di accoglienza, di intenzionalità e volontà nel ritrovarsi. Perché il vedere assieme è un bene comune, sempre fonte di inesauribile bellezza. Dello spirito prima ancora che della concretezza.